“Pasolini. Perché?” alla Galleria Toledo, un teatro che interroga il presente
Alla Galleria Toledo di Napoli, teatro stabile di innovazione, va in scena “Pasolini. Perché? novità”, il nuovo lavoro dei Chille de la balanza, storica compagnia del teatro di ricerca italiano. Non è un’operazione celebrativa né un omaggio rassicurante: lo spettacolo sceglie una via più aspra e necessaria, riportando Pier Paolo Pasolini dentro il presente come voce ancora viva, scomoda, capace di disturbare.
Dal genocidio culturale al genocidio
Il sottotitolo dello spettacolo – Dal genocidio culturale al genocidio – definisce con chiarezza il campo di azione. Il pensiero pasoliniano sulla distruzione delle culture, sull’omologazione e sulla violenza del potere viene spinto fino all’attualità più dolorosa. Pasolini diventa una lente per leggere il mondo di oggi, le sue guerre, le sue responsabilità collettive, le sue rimozioni.
La scena si apre con un’immagine potente: bianchi fagotti deposti sul palco come corpi in una fossa comune. È un teatro che non spiega e non accompagna lo spettatore, ma lo espone a una visione cruda, immediata.
Una drammaturgia per frammenti
La drammaturgia di Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza procede per frammenti, lampi poetici, materiali d’epoca e scritture originali. Pasolini non viene raccontato in modo lineare: emerge per evocazione, attraverso contraddizioni e tensioni irrisolte. Il testo rifiuta la narrazione biografica e costruisce un vero campo di tensione pasoliniano, fatto di fratture, silenzi e dissonanze.
Un Pasolini contemporaneo
Lo spazio scenico è ridotto all’essenziale: poche sedie, una lampada, un tavolo che richiama un interrogatorio. Le luci di Sandro Pulizzotto lavorano per sottrazione, alternando penombre e improvvisi squarci luminosi che restituiscono un senso di abbandono e solitudine. I costumi non ricostruiscono un’epoca precisa: Pasolini non è confinato negli anni Sessanta o Settanta, ma agisce come figura del presente.
Particolarmente significativa la scelta di utilizzare lettere-monologhi proiettate nell’oggi, anche attraverso l’intelligenza artificiale: testi che parlano ai giovani del pianeta, ai potenti della Terra, fino al riferimento diretto a Gaza, uno dei passaggi più duri e destabilizzanti dello spettacolo.
Gli interpreti e il suono della scena
In scena, Claudio Ascoli, Sissi Abbondanza e Rosario Terrone costruiscono una presenza rigorosa e tagliente, capace di restituire un Pasolini lacerato e contraddittorio. Accanto a loro, Martina Capaccioli e Matteo Nigi portano una fragilità giovane che rende i monologhi ancora più esposti e vivi.
Le musiche originali di Alessio Rinaldi e il lavoro sonoro di Francesco Lascialfari creano una partitura emotiva fatta di vuoti, pulsazioni e improvvisi strappi, che accompagna la parola senza mai addomesticarla.
Un finale che chiude il cerchio
Il momento conclusivo è affidato alla figura della Madre di Gaza, che stringe un piccolo fagotto bianco e pronuncia quel “perché?” che dà titolo allo spettacolo. Quando il velo cade, la madre si rivela essere anche la madre di Pasolini, apparsa nella prima scena. Pasolini e genocidio, passato e presente, si sovrappongono in un’unica immagine.
Il palco resta ferito, spoglio, come lo è stato per tutta la durata della rappresentazione. Nessuna catarsi, nessuna soluzione: solo una domanda che continua a vibrare.
Un teatro necessario
“Pasolini. Perché?” è uno spettacolo asciutto e privo di compiacimenti, che sceglie di ferire e ricordare. Un teatro che non cerca consenso ma responsabilità, che non tranquillizza ma costringe a pensare. In un presente smarrito, Pasolini non viene evocato per nostalgia, ma per urgenza: come una voce che continua a interrogare il nostro tempo.