Hamlet Travestie al Teatro Bellini, l’Amleto napoletano di Punta Corsara [Recensione]

Hamlet Travestie al Teatro Bellini di Napoli

Farsa settecentesca, tradizione napoletana ed evocazioni shakespeariane: è l’Amleto di Punta Corsara, in scena al Teatro Bellini di Napoli

Divertente, tragicomica e verace al punto giusto l’originalissima versione di Amleto riscritta e rielaborata da Punta Corsara, compagnia teatrale costituita grazie ad un progetto di formazione nato nel quartiere di Scampia con l’obiettivo di dare ai giovani un’occasione di riscatto attraverso l’arte del teatro. Oggi, dopo circa cinque anni, Punta Corsara è ormai una perla del panorama teatrale italiano grazie all’estrema bravura dei suoi attori, Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Vincenzo Nemolato, Valeria Pollice, Gianni Vastarella, e del talento del regista e interprete Emanuele Valenti. Hamlet Travestie di Punta Corsara sarà in scena fino al 13 marzo al Teatro Bellini di Napoli. 

Amleto è un’opera immensa, in cui ci si può tuffare dentro, tra i suoi versi e le sue atmosfere, e tirar fuori infiniti significati da poter ravvivare e ricontestualizzare, in una dimostrazione del valore universale che, probabilmente, appartiene a questo testo classico e a pochi altri al mondo. Quella di affrontare Amleto, soprattutto nell’epoca attuale, è una missione mai semplice, ma piuttosto una sfida continua, che mette a dura prova regista e interpreti, con il rischio di banalizzare l’opera e di cadere nel “già detto”.

Una sfida che non ha scoraggiato Punta Corsara che, al contrario, ha colto l’occasione per proporci una versione di Amleto contemporanea e vicina alla nostra realtà quotidiana partenopea, tirando fuori battute, situazioni e caratteri non soltanto dal testo di Shakespeare ma, soprattutto, dalla riscrittura settecentesca dal gusto burlesque di John Poole, da cui è tratto il titolo Hamlet Travestie, e dal Don Fausto di Antonio Petito, parodia, a sua volta, del Faust di Goethe.

Ne deriva il racconto scorrevole, gradevole e semiserio di una famiglia napoletana dei nostri tempi, i Barilotto, uno sgangherato nucleo familiare che si guadagna da vivere con una bancarella al mercato con cui cerca di saldare i debiti con Don Gennaro, il boss della zona. Sei personaggi che evocano, nei loro ruoli e nelle loro vicende, i sei personaggi principali dell’Amleto shakespeariano: la madre Amalia/Gertrude, vedova del marito morto in un misterioso incidente, lo zio Salvatore/Claudio, l’amico di famiglia Don Liborio/Polonio, i figli di lui Ornella/Ofelia e Ciro/Laerte. E poi c’è Amleto, l’unico personaggio che porta davvero il nome del protagonista shakespeariano e che è rimasto sconvolto dalla tragica morte del padre. Due aspetti che lo suggestionano al punto di convincersi di essere condannato allo stesso destino del principe di Danimarca.

Lo strano comportamento taciturno di Amleto, realmente affranto dal dolore, lo porta ad alienarsi dalla realtà e a dissociarsi dal resto della famiglia, trascinandosi, nei suoi spostamenti sul palco, avvolto in una coperta a quadri colorati.

Nel tentativo di riprendere il giovane dallo shock causato dal grave lutto, la famiglia si affida a Don Liborio, detto ‘O Professore per la sua sagacia e intelligenza nel risolvere le situazioni. Sarà lui, il “Polonio” della situazione, a tenere le redini della vicenda e a tirare i “fili” degli altri personaggi, convincendoli a mettere su una pièce ispirata proprio all’Amleto di Shakespeare, dove ognuno avrà un ruolo ben preciso (che inconsciamente sta già interpretando), con lo scopo di procurare al ragazzo un salutare shock che lo rinsavisca…

Lo spettacolo si svolge, quindi, su tre livelli di interpretazione che finiscono, inevitabilmente, con il confondersi continuamente: la realtà delle cose (la famiglia Barilotto); l’evocazione inconsapevole dei personaggi shakespeariani (che si determina soprattutto nella mente dello spettatore), e la consapevole rappresentazione dell’Amleto stesso che innesca una serie di meccanismi metateatrali.

Tra singolari scenette farsesche, battute dimenticate e inventate, gestualità esagerate, spettri improvvisati, e un linguaggio che include i diversi gradienti di espressione del dialetto napoletano, gli attori di Punta Corsara generano un ritmo coinvolgente e serrato fino alla fine della “farsa” e alla rivelazione dei meccanismi teatrali.

Alla fine, quando tutto sembrerà risolto, senza assassinii e vendette cruente, un morto ci sarà davvero. Si tratta del boss Don Gennaro, l’unico vero nemico della famiglia Barilotto, ucciso da Amleto nel tentativo di porre rimedio alla situazione familiare di crisi. Saranno tutti, inevitabilmente, puniti con l’esilio forzato dalla città, mentre Amleto sarà costretto ad essere rinchiuso in una prigione, questa volta reale e non metaforica, che porterà il giovane ad evocare, ancora una volta, i versi del Bardo: “La Danimarca è un carcere. Un vasto carcere, in cui sono molte celle, stanze e segrete: e la Danimarca è una delle peggiori”.

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Scritto da Valentina D'Andrea
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